Il concetto delle Mappe di Comunità nasce da un’idea nata in Inghilterra agli inizi degli anni ‘80 e frutto della felice intuizione di Common Ground, un’associazione non-profit che, prima tra tutte, scelse di lavorare sulla comprensione e la valorizzazione del patrimonio locale attraverso il coinvolgimento attivo e creativo delle comunità di riferimento. La sensibilità, la padronanza dei temi e delle metodologie tradizionali applicate al territorio hanno permosso alla geografa Sue Clifford e alla designer di moda Angela King, entrambe membri di Friends of the Earth, nonché fondatrici di Common Ground, di constatare l’inadeguatezza degli strumenti classici della cartografia (e più in generale dalla rappresentazione del territorio) erano inadattati. Fra le altre cose, erano impotenti nell’evocare la dimensione locale, la sua qualità, i suoi significati e il suo sentimento d’appartenenza.
Carte tematiche di ogni tipo — topografiche, geologiche, idrologiche, dell’uso dei suoli, forestali, ecc. — affollano le scrivanie di professionisti e ricercatori. Descrivono i luoghi in modo quantitativo e settoriale, basandosi su rappresentazioni e linguaggi specialistici, e contribuiscono — i in modo consapevole o no — a creare distanza tra chi ci vive e chi li descrive. Libri e manuali riportano studi molto approfonditi, ma non sempre accessibili a tutti per i linguaggi specialistici adottati, la loro reperibilità e i costi.
Le mappe percettive (o cognitive) descrivono sì lo spazio in modo più qualitativo, ma sono spesso il risultato di riflessioni individuali e soggettive piuttosto che di rappresentazioni collettive sui valori distintivi di un luogo, che potrebbero nascere da una discussione nell’ambito di un gruppo di lavoro ampio.
Secondo la percezione di Common Ground, si perde così il valore della dimensione più importante dell’abitare i luoghi: quello della quotidianità. E sono proprio i luoghi quotidiani, quelli vissuti tutti i giorni, che richiedono la maggiore attenzione da parte di tutti. Sono loro, ancor più che le eccellenze, che a poco a poco, impercettibilimente, corrono il rischio di diventare silenziosi, qualunque, banalizzati, indifferenti e inespressivi. Questo non perché non abbiano più nulla da dire, ma perché si è distrattamente persa la capacità di osservarli, di ascoltare i loro messaggi e le loro storie, di distinguerne gli innumerevoli dettagli, di capirne le stratificazioni e la trama invisibile, strutturante e rassicurante del quotidiano, antidoto contro l’estraneità, lo spaesamento e l’indifferenza.
L’idea inglese delle Parish Maps, importata più tardi in Italia sotto il nome di Mappe di Comunità, nasce dalla presa di coscienza di queste criticità immaginando uno strumento di indagine territoriale. Questo strumento, volutamente provocatorio e inusuale, propone delle risposte non assolute —ma condivise e nate da una partecipazione collettiva— alla domanda di significato dei luoghi e del ruolo dei loro abitanti. Le Parish Maps rappresentano i luoghi come sono percepiti da coloro che li abitano e che ne hanno un’esperienza diretta, e che sono quindi i maggiori esperti.
La centralità di ogni luogo è un’applicazione senza confini
Per Common Ground, non esiste una definizione assoluta di centralità e di marginalità. Questo dipende dal punto di vista da cui si osservano le cose e il mondo. Se, arbitrariamente, si stabilisce che sono gli abitanti che devono osservare i luoghi in cui abitano, allora l’affermazione della loro centralità diviene un dato di partenza, assunto collettivamente, una regola di base, un’affermazione rivoluzionaria che permette di rimettere al centro dell’attenzione ogni più piccolo luogo inteso come il cuore del proprio mondo. Il luogo di indagine diventa allora quella porzione di territorio nella quale gli abitanti si riconoscono, quella di cui hanno una conoscenza diretta e nei riguardi della quale si sentono — o si potrebbero sentire — fedeli, protettivi e attenti, quella di cui si ha misura e che, in qualche modo, ha la capacità di definire il carattere unico e distintivo della comunità che lo abita, definita come ‘la più piccola arena in cui la vita è vissuta’.
Parish (in inglese ‘la parrocchia’) designa lo stretto legame tra persone e luoghi, la loro interdipendenza vitale e costruttiva. Parish, suddivisione amministrativa minima di un territorio vasto, ma un termine che evoca, allo stesso tempo, l’appartenenza ad una comunità. Un termine che indica la condivisione di qualcosa e che formula esplicitamente una domanda semplice: Cosa abbiamo in comune? “Negli anni novanta dell’ottocento la ‘parrocchia’ è la giurisdizione civile che rappresenta il più piccolo teatro della democrazia. Da allora molto è cambiato, i confini sono stati rimodellati e i quartieri cittadini non hanno più lo stesso perimetro.” (Clifford, King, 1996, traduzione dell’autrice).
Il concetto dell’iniziativa e i risultati delle sue realizzazioni ispirano e seducono sia le persone coinvolte direttamente nella costruzione delle mappe sia chi le riceve come dono, e che incuriosito, le scopre comme osservatore esterno. Siano essi funzionari di amministrazioni pubbliche, professionisti, piccoli o grandi abitanti. Per questo le Mappe di Comunità si diffondono rapidamente, attraverso un passaparola spontaneo e convinto, attivato da chi le ha sperimentate in prima persona e ne ha colto il potenziale. In tutto questo fiorir di mappe e di attenzioni rivolte a indagare la preziosa specificità locale (local distinctiveness), Common Ground continua ad essere un punto di riferimento ispiratore, saldo e discreto, che sostiene e incoraggia i numerosissimi gruppi locali che osano lanciarsi in questa affascinante avventura.
Luoghi, patrimonio locale, paesaggio: la magia delle mappe
Con il passare degli anni, le Parish Maps diffondono un approccio che consiste nel dare attenzione alla dimensione locale, nel tramandare le conoscenze non scritte e specifiche ad ogni luogo, nel documentare e accompagnare i cambiamenti, nell’utilizzare le diverse capacità individuali, nell’evidenziare le relazioni e le interdipendenze tra persone e luoghi, e nel fare emergere un quadro d’insieme oltre che i particolari. Le mappe, così concepite e realizzate, si presentano come uno strumento formidabile alla portata di tutti. Agli inizi del 2000 il Laboratorio Ecomusei della Regione Piemonte fa proprie le motivazioni e le modalità realizzative delle Parish Maps importando l’idea in Italia e traducendo liberamente i termini anglosassoni di Parish Maps in Mappe di Comunità, per mettere in evidenza la dimensione partecipativa. Il sistema ecomuseale piemontese, ai suoi primi passi, interessava trovare uno strumento efficace, semplice, diretto, accessibile a tutti, in grado di mettere in evidenza le molteplici relazioni che legano il patrimonio locale e la sua comunità di riferimento. Le mappe vogliono essere al tempo stesso un censimento partecipativo, un business plan, un autoritratto e una biografia collettiva.
Sempre agli inizi del 2000, il concetto di paesaggio come descritto nella Convenzione Europea del Paesaggio, fa la sua apparizione. La Convenzione, un documento curato e proposto dal Consiglio d’Europa (PDF), lo definisce come “una parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, e propone delle “misure specifiche” utili ad un’attuazione a partire dalla “sensibilizzazione” e dalla “formazione ed educazione”. Avvia così processo metodologico partecipativo, innovativp, inclusivo, multidisciplinare e pensato ad hoc. Ancora un volta le mappe di comunità riescono ad esprimere tutto il loro valore e sono utilizzate come uno degli strumenti più adatti per indagare i paesaggi e le percezioni delle popolazioni.
Se è vero che, nei primi periodi, le mappe si basano su un coinvolgimento delle persone anziane per documentare il patrimonio locale materiale ed immateriale, la partecipazione si allarga più tardi ad altre generazioni attraverso il trasferimento di conoscenze. Negli ultimi anni, le mappe partono dai bambini e dai ragazzi e si trasformano in uno strumento di ampio respiro per la conoscenza critica del mondo e per l’approccio educativo multidisciplinare.
Le mappe formano uno strumento di apprendimento attraverso l’esperienza sul campo. Il paesaggio diviene così il primo libro di testo tridimensionale che si impara a leggere insieme camminando, osservando, toccando, chiedendo, rappresentando.
Ma come si fa una mappa di comunità?
La realizzazione concreta delle mappe di comunità parte da alcune domande da porsi collettivamente e reciprocamente: Dove siamo? Che cosa rende questo luogo diverso dagli altri? Quali sono gli ingredienti che lo compongono? Cosa è importante a livello personale, collettivo e perché? Quali sono le qualità naturali del luogo? E i saperi individuali? Come possiamo condividere le conoscenze? Quale stile e quale modalità utilizziamo per disegnare o costruire la mappa?
Le risposte prendono la forma di un processo ciclico:
— cercare
— chiedere
— raccogliere
— selezionare
— comporre
— ricucire
— mettere in relazione
— immaginare
— raccontare
— disegnare
— costruire
— coinvolgere
— conoscere
— aver cura
e di nuovo...
Le fasi della scelta, dell’argomentazione delle scelte, della composizione spaziale e della realizzazione vera e propria delle mappe avvengono secondo tappe disegnate su misura. Esse privilegiano il ruolo soggettivo del gruppo di lavoro, protagonista e vero responsabile dell’iniziativa. Data la moltitudine delle variabili in gioco legate al patrimonio, alla comunità, alla percezione dei valori e alla modalità di rappresentazione, ogni mappa è diversa dalle altre. Soggettiva, essa racconta un punto di vista di un gruppo di lavoro in un dato momento storico. E’ riconoscibile e distintiva, unica e irripetibile. In sintesi, sono sempre le persone coinvolte a fare la differenza. L’entusiasmo è contagioso e una volta che l’idea è proposta — fare una mappa — si ottengono sempre buoni risultati, tanto più se il passaggio dall’idea alla realizzazione è fatto con entusiasmo. Le persone sensibili percepiscono la differenza e si attivano: gli insegnanti, i ragazzi, le famiglie, la comunità. In un mondo spesso affaticato e pesante si trova la leggerezza delle cose, la magia allo stato puro.
Se, a prima vista, le mappe possono essere percepite come un esercizio apparentemente banale e finalizzato a se stesso, in realtà è il contrario che ha luogo. Realizzare una mappa di comunità permette a ognuno di crescere, come individuo, in termini di consapevolezza delle proprie capacità, di disponibilità all’ascolto, di curiosità e di voglia di impegnarsi in prima persona, come cittadino, nella cura e messa in valore della qualità dei propri luoghi, paesi, paesaggi. Osservando l’operosità dei tanti gruppi di ragazzi coinvolti nella realizzazione delle mappe si rimane colpiti dal significato tangibile del “costruire il proprio mondo”, la propria geografia, del sapersi muovere sempre più a proprio agio, ritrovarsi, capire il significato dell’osservazione, sviluppare la capacità di vedere il dettaglio e il quadro d’insieme allo stesso tempo.
Ecco alcuni dei tantissimi pareri raccolti alla fine dei percorsi di realizzazione di mappe. E’ stato chiesto ai ragazzi di scrivere dei pensieri brevi, ‘a pelle’, in modo spontaneo dicendo loro che i commenti sarebbero stati anonimi:
— Penso che questo progetto sia il più bello e il più divertente mai fatto. — Di questo lavoro mi è piaciuto di più quando siamo andati a vedere con il pullmino il nostro paese dall’alto. — Di questo progetto penso che la cosa più bella sia stato il lavoro di squadra, perché se non avessimo lavorato tutti insieme non saremmo riusciti a fare la mappa. — Questo progetto è stato molto bello e la cosa che mi è piaciuta di più è stata intervistare le persone. Ho scoperto che la chiesa vicino al cimitero si chiama Pieve. — Questo progetto è molto divertente e la parte che mi è piaciuta di più è stata disegnare e immaginare. — Penso che è interessante e costruttivo. — Colorare i numeri e ritagliare è stata la cosa che mi è piaciuta di più. — Il progetto ci ha fatto divertire restando insieme e, nel frattempo, ci ha fatto imparare cose nuove del nostro piccolo paese. Nessuno avrebbe mai immaginato che il nostro vecchio borgo nascondesse tanti segreti.”
Il bello delle mappe è che, a sostenere il percorso che conduce alla creazione della mappa non è, per scelta, un metodo da applicare in modo matematico e assoluto, ma piuttosto serie di tappe, calibrate in base alle capacità, ai fattori favorevoli o sfavoreboli, al tempo a disposizione. Come accade anche nei viaggi, il raggiungimento della meta non è l’unico obiettivo, ma lo è tutta l’esperienza del percorso, passo dopo passo.
Riflessioni
Le esperienze inglesi ed italiane hanno sottolineato che la ricchezza di qualsiasi territorio è costituita non solo da oggetti ed edifici importanti ma soprattutto dai saperi, dalle conoscenze puntuali e diffuse, specifiche e locali, associate alla sensibilità degli abitanti. E’ il riconoscimento condiviso di un patrimonio collettivo a creare comunità.
Mettere queste conoscenze e la cultura al centro dello sviluppo significa decidere di investire nel proprio futuro privilegiando la formazione di contesti in cui possano fiorire energie vitali, costruttive e creative, fiducia e integrazione. Vuol dire coinvolgere le nuove generazioni e renderle consapevoli del fatto che saranno le depositarie del destino dei luoghi. Se cultura e conoscenze venissero a mancare, si assisterebbe ad un inevitabile impoverimento delle comunità locali che diverrebbero non solo incapaci di gestire il proprio patrimonio locale ma, ancor più, si troverebbero inadeguate ad affrontare le crescenti sfide locali e globali che richiedono conoscenze multidisciplinari, capacità di lettura critica della propria realtà, individuazione di potenzialità inespresse e visioni strategiche di lungo termine.
L’immediatezza propria del linguaggio delle Mappe di comunità, la freschezza della loro narrazione, il fatto che facilitano la partecipazione ne fanno uno strumento capace di iniziare e di rafforzare le energie locali, primo importante passo per definire gli obiettivi, le modalità presenti e future di un’azione comune a livello locale.
Per costruire futuro ci vuole sensibilità.
↬ Donatella Murtas
Pour en savoir plus :
– Sue Clifford, Angela King, From place to PLACE: maps and Parish Maps, Common Ground, Londres, 1996.
– Donatella Murtas, “Mappe culturali: di persone e di luoghi”, in Signum — La rivista dell’Ecomuseo del Biellese, Provincia di Biella e Regione Piemonte (PDF), 2004, anno 2, n°1, pp.25-26.
– Kim Leslie, A sense of place. West Sussex Parish Maps, West Sussex County Council, 2006.
– Sue Clifford, Maurizio Maggi, Donatella Murtas, Genius Loci. Perché, quando e come realizzare una mappa di comunità, Strumenti IRES, 2006.