Ritratti
…dei cittadini, dei rifugiati politici o economici, delle persone la cui domanda d’asilo è stata respinta, degli amici, delle persone vulnerabili ma forti, persone coraggiose, esiliate e migranti da anni o da mesi, attrici e attori del nostro mondo così com’è.
Choukri e Abdelaziz vengono dalla Somalia. Abdelaziz è in cammino da quattro anni. Ha attraversato il Mediterraneo con altre 85 persone a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Somalia, Etiopia, Sudan, Libia, Italia, Svizzera, Germania, Parigi, di nuovo Italia, sbatte su ogni confine ma non ha nessun’altra soluzione. Choukri lo ha appena raggiunto, lasciando i figli ai suoi genitori, il tempo di trovare una soluzione. Lei resta in disparte, ha appena subito un aborto. «Questo mondo potrebbe essere veramente migliore…», dice, triste, suo marito.
Isabelle, infermiera, aiuta da quattro anni le persone che arrivano nella sua valle. Si occupava dello squat delle Lucciole (squat des Lucioles), ha in seguito chiesto a Médecins du monde di sostenerla affinché potesse ufficialmente garantire un’assistenza sanitaria. Insorge: «Ognuno fa come se l’altro non esistesse. Non è normale lasciare le persone nel bisogno». Cura le ferite, i traumi del corpo e dell’anima. Conosce le persone, le loro storie, i loro viaggi, lei da consigli. Sorride certa della correttezza assoluta del suo operato.
David gestisce un negozio alternativo a Sospel, un paese vicino. Rasta come Bob Marley, un maglione di lana, scarpe da camminata, lo si identifica immediatamente come «ambientalista». Il suo approccio è politico. Si interroga sul suo ruolo negli ingranaggi di un sistema implacabile. Ad esempio, comprare cibo di fascia bassa per mancanza di denaro per sfamare i migranti non è precisamente per sostenere il sistema capitalista che vogliamo combattere? Avere questo punto di vista non gli impedisce di continuare ad impegnarsi: «Non so più dove siamo… ma continuiamo».
Charles, minorenne, ha due anni e mezzo di migrazione alle sue spalle. Da Mogadiscio, ha preso una barca per lo Yemen, poi il Sudan. Un bus l’ha trasportato in Libia, da lì ha preso un’imbarcazione clandestina per la Sicilia. Ha attraversato l’Italia in treno, poi, a piedi, una notte di dicembre, ha passato la frontiera italiana. E’ arrivato qui con Abdulah, fratello primogenito che ha dieci anni di più ed un percorso simile.
Abdulah mi mostra pudicamente la vergognosa cicatrice che deturpa il suo corpo. Nella fuga ha perso le tracce della sua famiglia. Sa solo che suo padre e suo fratello sono morti. Il progetto dei due uomini è semplice: «Vogliamo restare qui per accedere ad un’istruzione. In seguito, torneremo nel nostro paese per aiutare le persone».
Marion si occupa della riorganizzazione del campo per le persone che sono arrivate da poco. Aiuta da due anni e mezzo. Per capire, ha fatto il percorso dei migranti nel senso contrario partendo dalla Spagna. Quello che ha visto l’ha spinta ad impegnarsi e a portare la propria testimonianza. Sul cammino, ha incontrato Cédric. Ad ogni frontiera, conosce il trattamento riservato ai rifugiati, un trattamento che si indurisce di giorno in giorno: «Non si sa che in val Roya è come al confine serbo». Se le si domanda quello che la motiva, riflette a lungo. Le ragioni sono numerose, ma lei ritiene semplicemente questa: «Fai la tua parte!».
Heba arrivò due anni fa da un paese considerato sicuro dalla Francia. Dopo una lunga trafila, non ha ottenuto la protezione che domandava e ha perso il suo posto nel centro di accoglienza. È venuta a rifugiarsi in montagna. Karma, sua figlia di 3 anni, dorme, imperturbabile, sulla panca accanto a lei. Adam, suo figlio di 6 anni, che ha lasciato la scuola primaria controvoglia, è occupato all’esterno. «Io adoro aiutare!», dichiara con un gran sorriso. Heba, ex-dirigente, parla francese, inglese e arabo. Ritornerà nel suo paese? Alla mia domanda, il suo viso si corruccia: «Mai, è impossibile!». Non aggiunge altro. Il suo desiderio più grande oggi: «Voglio che i miei figli vadano a scuola!».
Cédric è l’agricoltore che ha dato un volto alla lotta delle persone in val Roya. Lo ritrovo nella parte bassa del campo, martello in mano, che sta mettendo in sicurezza un’installazione elettrica. La sua grande popolarità mediatica non gli ha tolto nulla della sua semplicità. Questa presenza nei media è solo un’arma come un’altra per far avanzare la causa. Secondo lui, se bisogna fare dei ritratti, bisogna farne soprattutto delle donne… La sua lotta continua per far rispettare il diritto sia delle persone migranti che quello delle persone che li aiutano [1].
Se non abbassa mai le braccia è perché in una lotta, vincere, non significa fermarsi, questo è il messaggio che mi è arrivato il giorno dopo.
Tutte queste umiliazioni che in passato erano state inventate esclusivamente per i criminali, si infliggono ora ad ogni viaggiatore, prima e durante il viaggio. […] I primi passi che abbiamo fatto in una città straniera, in un paese straniero, non ci hanno più portato, come in passato, a musei o paesaggi, ma a un consolato o una stazione di polizia per darci una «autorizzazione». […] Dovevamo costantemente sentire, nelle nostre anime di uomini nati liberi, che eravamo oggetti e non soggetti, che nulla ci spettava di diritto ma che tutto dipendeva dal buon volere delle autorità. Siamo stati costantemente interrogati, registrati, numerati, controllati, timbrati. […] Sono dei dettagli, degli infimi dettagli, lo so bene, solo dei dettagli in un tempo in cui il valore della vita umana è caduto più velocemente di quello delle valute.
Stefan Zweig, Il mondo di ieri, 1942.
Quando la frontiera diventa fronte
Nel 2018, il numero delle persone irregolari che hanno attraversato i confini esterni dell’Europa è diminuito del 25% rispetto al 2017, del 92% rispetto al 2015. La rotta si è spostata verso la Spagna e i Balcani. La riduzione del flusso di persone migranti, flusso che aveva raggiunto il suo picco nel 2015 con persone provenienti dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Libia, è il risultato di varie misure applicate dall’Unione europea per impermeabilizzare i confini dello spazio Schengen (con la messa a punto del regime d’asilo europeo comune).
Il cosiddetto «approccio hotspot» dell’UE, deciso nel 2015, ha portato alla creazione di centri di accoglienza in Grecia e in Italia, centri che si sono rapidamente trasformati in campi di confine, di selezione e di trattenimento sovrappopolati, vere e proprie zone di non-diritto [2].
In Italia, il decreto legge Salvini ha soppresso i permessi di soggiorno umanitari, imposto il fermo dei migranti nei centri di accoglienza e ha autorizzato le forze dell’ordine ad usare la forza nei loro confronti. La strategia del governo italiano di una «dissuasione totale», cioè il respingimento implacabile di tutte le persone che si imbarcano a partire dalla Libia per arrivare sulle coste italiane è stata estremamente efficace.
L’Italia non ha adottato inoltre il patto di Marrakech, «patto mondiale per le migrazioni sicure, ordinate e regolari», firmato il 19 dicembre 2018 a Marrakech da 152 su 165 paesi membri dell’ONU. Questo patto - non vincolante - mira a rafforzare la cooperazione internazionale affinché le migrazioni diventino «benefiche a tutti». Si fonda sulla Carta delle Nazioni Unite, sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e sugli altri patti internazionali che trattano di diritti umani.
La Convenzione di Ginevra del 1951 garantisce i diritti delle persone che richiedono l’asilo, ma non regola la questione dell’accesso al territorio, che rileva, al di fuori della domanda d’asilo, delle sovranità nazionali. Richiedere l’asilo è un diritto, che impone di applicare il principio del non-respingimento (ogni migrante è potenzialmente un rifugiato), ma per far valere questo diritto, si deve già essere sul territorio dello Stato in cui si desidera deporre la domanda d’asilo. Ma se una persona entra senza autorizzazione nel territorio di uno stato, quest’ultimo la considera spesso essere nell’illegalità. Le persone migranti se ritrovano così in una trappola legislativa [3].
Il blocco dello spazio Schengen obbliga le persone in fuga da conflitti e miseria a intraprendere rotte sempre di più rischiose e le consegna ai contrabbandieri e ai trafficanti. Poiché i rifugiati possono richiedere asilo solo se si trovano sul territorio di un paese sovrano, i rifugiati non hanno altra scelta che intraprendere vie sempre più pericolose [4]. In primavera, quando la neve si scioglie, le Alpi non finiscono di risputare i cadaveri.
I dispositivi di protezione dello spazio Schengen sono generalmente dematerializzati e non si assomigliano dappertutto ai muri invalicabili delle enclavi di Ceuta e Melilla. Il controllo delle frontiere dell’UE è stato esternalizzato nei paesi di origine o di transito, in cui i campi sono saturi. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) deve sorvegliare 12.000 km di confini terrestri e 45.000 km di confini marittimi. L’accordo bilaterale fortemente contestato del 2016 tra i paesi dell’UE e la Turchia (in cui passava la principale rotta migratoria nel 2015) mostra il prezzo umano e politico di questi tentativi di esternalizzare il problema [5].
Queste barriere onerose spostano infatti i flussi e favoriscono una logica di politiche migratorie sempre più repressive. Nel 2018, si stima che per le 138.882 persone che hanno attraversato irregolarmente il Mediterraneo, 2.275 persone sono morte o disperse. Su 18 persone che sono arrivate sulle coste italiane nel primo semestre 2018, una persona è morta in mare.
Le frontiere esterne dell’UE sono visibilmente mutate in fronti, l’ironia vuole che il termine «frontiera» sia legato al termine militare «fronte». Una truppa «faceva frontiera» quando si metteva in ordine di battaglia e quando si faceva frontiera ai confini dei regni, la frontiera è finita per designare i limiti (lineari) dello Stato (Michel Foucher, Fronts et frontières, 1988).
Pertanto, il dispiegamento di questo imponente arsenale militare e giuridico per questo nuovo fronte rivela gli errori della politica comune dell’Ue in materia d’immigrazione. Il «regolamento di Dublino» [6], che impone il rinvio delle persone nei paesi di primo ingresso nello spazio Schengen, secondo l’idea che si dovrebbe «responsabilizzare» questi Stati (Grecia e Italia), e il «ricollocamento d’emergenza» (relocation, ndr) imposti in funzione delle quote di accoglienza (poco rispettate), dimostrano che non si può davvero parlare di unità o di solidarietà europea. Basti pensare alla peregrinazione della nave Aquarius (un nuovo Exodus) dell’estate 2018, prima che la Spagna non si sostituisse all’inadeguatezza italiana per accogliere il cargo umano. Non si stanno disegnando dei fronti tra gli stessi paesi membri?
La «fortezza Europa» minacciata
Perché dunque questa esasperazione mediatica e giuridica a proposito di una pretesa crisi migratoria? La minaccia d’invasione che aleggia sull’Europa è reale?
Intanto la Turchia, con i suoi 80 milioni di abitanti, ha accolto 3,6 milioni di rifugiati, perché l’Europa (541 milioni di abitanti senza i paesi dell’ex URSS), è incapace di accoglierne altrettanti? I 78 milioni di immigrati che si trovano ora nell’Unione europea rappresentano il 14% della popolazione, ma solo la metà, ovvero il 7.5%, non è europea.
Oggi c’è il 3,4% della popolazione mondiale, cioè 258 milioni di persone gettate sulle rotte contro la loro volontà. I paesi che accolgono questi «sradicati» sono in realtà soprattutto i paesi in via di sviluppo (85%). I campi rifugiati più grandi si trovano in Uganda e in Kenya. La maggior parte delle persone migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa sono accolte nei paesi limitrofi e non in Europa. I primi paesi ospitanti sono la Turchia, la Giordania e il Libano. Le cifre dell’UNHCR mostrano che si tratta di un problema marginale in termini demografici per l’Europa. E nessuna minaccia d’invasione si profila all’orizzonte per l’UE.
Gli Europei non arrivano a trovare un accordo nemmeno su cosa possa essere una migrante o un migrante «legittimo». Nello spazio Schengen, le domande d’asilo saranno trattate secondo dei criteri propri ad ogni paese, criteri definiti secondo le regole, quasi sempre rispettate, del diritto nazionale e internazionale, per esempio, per definire cosa è un paese a rischio. Per quanto riguarda la questione della cittadinanza, che è una questione di sovranità nazionale, l’UE non riesce a definire una linea guida comunitaria, come dimostra la naturalizzazione di un migliaio di persone non europee da parte dell’Ungheria (assicurando a Viktor Orbán una fonte elettorale, che però non rimedia al deficit demografico del paese), senza essere spostato oltre misura e senza essere scosso dalla fortezza europea.
Perché l’Europa si trasforma in una fortezza [7] ? Se un passaporto europeo permette di viaggiare [8] liberamente praticamente in tutti i paesi del mondo, se ci sembra normale mandare i nostri figli a studiare all’estero o di trasferirci professionalmente, se sappiamo che i futuri Stati uniti d’Europa si costruiranno sulla libertà di circolare e di stabilirsi degli abitanti, perché neghiamo agli altri il diritto di fare la stessa cosa?
Nell’epoca della globalizzazione, il patto di Marrakech sta promuovendo i benefici della migrazione come attrice «di prosperità, d’innovazione e sviluppo sostenibile». Per realizzare ciò, dichiara di voler «proteggere i diritti dell’uomo, di tutti i migranti, indipendente dal loro status migratorio, e di garantire questi diritti affinché si possano applicare, favorendo la sicurezza e prosperità dei nostri popoli».
Tuttavia invalida le proprie dichiarazioni introducendo una discriminazione tra persone migranti e rifugiati, solo chi beneficia dello status ufficiale di rifugiato potrà essere protetto [9]. Questa contraddizione testimonia dell’ambivalenza morale e politica in cui si trova l’Unione europea oggi.
Perché negare gli aspetti positivi dell’immigrazione, non fosse altro che per l’apporto demografico che darebbe alle nostre società che invecchiano? Lo stereotipo dello straniero parassita [10] dei nostri generosi sistemi di protezione sociale, si spera, abbia vita breve se non in qualche spirito debole di estrema destra. La posizione anti-migrazione, la migrazione presentata come una sfida, sembra in realtà ricoprire altre problematiche. Se il dibattito è stagnante e produce i mostri del discorso securitario, della disinformazione, dei fantasmi e dell’arbitrarietà, queste sfide non sono più profonde di quello che è suggerito da un certo principio di realtà?
L’Unione, costruita sulla soppressione delle frontiere mentali e fisiche interne, soffre l’aver dovuto dotarsi di limiti esterni flessibili che le permettessero di adattarsi a nuove integrazioni? Il fatto di aver trascurato di porsi la domanda sui confini non la spinge oggi ad erigersi come fortezza?
Il «ritorno all’uso militare» è proprio degli Stati nazionali che sono nati dopo la rivoluzione francese, quando «il territorio diventa patrimonio collettivo e la difesa della sua integrità diventa compito dello Stato» e bisogna rassicurare «la funzione simbolica - il sacro - delle frontiere nazionali» (Foucher). Nel processo della sua costruzione d’identità, l’Europa ha bisogno di definire i suoi limiti designando (sacrificando) il nemico comune per fortificare il gruppo? A rischio, senza prenderne coscienza, di rinchiudersi in una prigione mentale. E con l’assenza di chi giustamente scuota queste coscienze e le barriere che si disegnano.
L’accoglienza è politica
Dal 2015, gli abitanti della val Roya hanno fatto molta notizia. Grazie a loro, la nozione di un insensato «reato di solidarietà» ha risvegliato le coscienze. Sebbene la legge francese vieti l’ingresso nel territorio di qualsiasi persona straniera in una situazione irregolare, autorizza però l’aiuto gratuito, materiale e non, che si può apportare per preservare la sua dignità e integrità fisica. La legge in materia di asilo e migrazione del 10 settembre 2018 autorizza, conforme ai principi di fraternità, l’aiuto alla circolazione (e non all’entrata sul territorio) delle persone straniere in situazione irregolare [11]. Per i «passeurs d’umanità», non si tratta di limitarsi all’ospitalità o al dovere morale.
Le carenze di un esecutivo, sopraffatto dalla situazione, che usa l’arbitrarietà in mancanza di un quadro di riferimento sufficiente, hanno mostrato che queste virtù non sono bastate per assicurare l’esercizio del diritto dei rifugiati [12]. Aiutare le persone che hanno attraversato la frontiera per recarsi a Nizza a chiedere asilo, in conformità con le procedure legali del diritto di asilo, non è un atto di empatia, ma un atto politico con cui la società civile compensa i fallimenti dello Stato. Nel 2017, il prefetto delle Alpi-marittime è stato condannato per 2 volte per violazione del diritto di asilo a causa di pratiche illegali alla frontiera, compresa quella dei minori. Il fatto che i cittadini debbano ricordare allo Stato le sue funzioni è un’ammissione del fallimento del funzionamento delle sue istituzioni.
Così, il numero delle municipalità italiane che criticano il decreto infame, che contravviene alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDH) non cessa di crescere [13]. Dove si ritrova l’idea della città rifugio, cosi come era stata realizzata negli anni Settanta da Pierre Bourdieu ed Alain Badiou per accogliere, come alcune città medievali, gli scrittori e gli artisti perseguitati. Ciò sembra indicare una consapevolezza politica di un’altra natura che riguarda la nozione stessa di democrazia rappresentativa: i comuni, se sono il braccio destro dell’esecutivo, sono anche i rappresentanti eletti della società civile. In quanto tali, devono rispettare le convinzioni di coloro che hanno dato loro i loro mandati.
In modo esemplare, i dibattiti che lacerano le sinistre europee sulla possibile regolarizzazione dell’immigrazione aprono anche un’altra prospettiva sulla questione [14]. Bisogna opporre il rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani - che suppone la loro accoglienza incondizionata- al rischio di declassamento delle fasce sociali più povere (i «senza-parte» di Jacques Rancière) attraverso l’arrivo di lavoratori e lavoratrici ancora più poveri e più ricattabili? Peggio: non sono proprio i datori di lavoro che si fregano le mani davanti a questa manna provvidenziale? I migranti sembrano svolgere qui un ruolo di catalizzatore, rivelando alla società i suoi stessi mali, quello del capitalismo e la selvaggia economia di mercato.
Incapace di guardarsi in faccia, l’Europa sposta lo sguardo e scruta il suo orizzonte. Cercare di mitigare i fattori strutturali che spingono le persone all’esilio perché non hanno né mezzi di sussistenza né futuro nei loro paesi, è un compito generoso e ambizioso. Ma, oltre a confrontarsi con l’Occidente per le conseguenze del suo passato coloniale e le logiche deleterie del capitalismo globale e finanziario, la scala dei tempi diversi è sproporzionata rispetto all’urgenza di un chiarimento e un adattamento della legislazione alla nuova situazione.
Il patto di Marrakech promette di trattare la questione delle migrazioni in partenariato con «i migranti, le diaspore, i popoli locali, la società civile, gli ambienti universitari, il settore privato, i parlamentari, i sindacati, le istituzioni nazionali di difesa dei diritti dell’uomo, i media e gli altri attori». L’instaurazione di una dinamica di dialogo tra tutti questi partner sociali permette, attraverso l’apprendimento della democrazia e l’aggiustarsi degli interessi, di oltrepassare la prova delle frontiere immaginarie per uscire dalla prigione delle parole e delle idee.
Le migrazioni hanno sempre fatto parte dell’esperienza umana dagli inizi della Storia. Nessun essere umano è illegale. Ogni essere umano ha diritto alla sua dignità e al rispetto dei diritti, quelli più elementari. Mettere il nostro senso morale in competizione con un presunto principio di realtà non è mai stato positivo per l’umanità, è la storia che ce lo dice.
↬ Nepthys Zwer